martedì 29 settembre 2009

la misura del tango

il tango non si misura a tempo, non si misura a passi, non a figure.
se lo vuoi misurare prova ad abbracciare e misura i battiti del cuore.

lunedì 20 luglio 2009

Il dottore di bestie

Ora le lacrime venivano che era un piacere e un gocciolone è rotolato giù per la canna e lungo il ponticello del grilletto per disfarmisi sull'indice. Raymond Hessel ha chiuso entrambi gli occhi, così io gli ho premuto la pistola forte sulla tempia perchè avesse a sentirsela sempre schiacciata proprio lì e io gli ero accanto e quella era la sua vita e lui avrebbe potuto essere morto da un momento all'altro.
Non era una scacciacani qualsiasi, la pistola, e io mi chiedevo se il sale potesse fotterne il meccanismo.
Tutto era andato via così' liscio, pensavo. Avevo fatto tutto quello che aveva detto il meccanico. Questo è il motivo per cui ci occorreva comperare una pistola. Questo era il mio compito a casa, quello che stavo facendo.
Ciascuno di noi doveva portare a Tyler dodici patenti. Per dimostrare che ciascuno di noi aveva fatto dodici sacrifici umani.
Stasera ho parcheggiato e ho aspettato dietro l'angolo che Raymond Hessel finisse il suo turno al Korner Mart, che resta aperto giorno e notte, e verso la mezzanotte è uscito ad aspettare un autobus del servizio notturno e finalmente io mi sono avvicinato e l'ho salutato.
Raymond Hessel, lui non ha detto niente. Probabilmente ha pensato che volessi i suoi soldi, la sua paga minima, i quattordici dollari che aveva nel portafogli. Oh, Raymond Hessel, in tutti i tuoi ventitrè anni, quando ti sei messo a piangere, con le lacrime che scendevano per la canna della mia pistola premuta sulla tua tempia, no, qui i tuoi soldi non c'entrano. Non tutto ha a che fare con i soldi.
Non mi hai detto nemmeno ciao.
Tu non sei il tuo misero piccolo portafogli.
Bella nottata, ti ho detto io, fredda ma limpida.
Tu non mi hai detto nemmeno ciao.
Non sappare, ti ho detto, o dovrò spararti nella schiena. Avevo tirato fuori la pistola e avevo calzato un guanto di lattice così se la pistola fosse diventata il reperto A presentato dallo Stato, su di essa non ci sarebbero state che le lacrime secche di Raymond Hessel, razza bianca, ventitrè anni, senza segni particolari.
Allora ho avuto la tua attenzione. I tuoi occhi erano così grandi che persino nella luce dei lampioni vedevo che erano verde antigelo.
Ogni volta che la pistola ti toccava la faccia tu ti ritiravi affannosamente indietro un po' di più, come se la canna fosse troppo calda o troppo fredda. Finchè ti ho detto smettila di indietreggiare e allora ha lasciato che la pistola ti toccasse, ma lo stesso hai storto il collo e allontanato la testa dalla canna.
Mi hai dato il tuo portafogli come ti ho chiesto.
Il tuo nome è Raymond K. Hessel, quello che c'è scritto sulla patente. Abiti al 1320 SE Benning, appartamento A. Un seminterrato, dev'essere. Di solito agli appartamenti dei seminterrati assegnano lettere invece di numeri.
Raymond K.K.K.K.K.K. Hessel, stavo parlando a te.
Tu hai storto il collo e allontanato la testa dalla pistola e hai detto si. Si, hai detto, abitavi in un seminterrato. Avevi anche delle foto nel portafogli. C'era tua madre. Questa è stata dura per te. Hai dovuto aprire gli occhi e vedere papà e mamma che ti sorridevano e vedere allo stesso tempo la pistola, ma ce l'hai fatta, poi hai chiuso gli occhi e ti sei messo a piangere.
Ti saresti raffreddato, lo stupefacente prodiglio della morte. Un momento prima sei una persona e un momento dopo sei un oggetto e papà e mamma devono chiamare il vecchio dottor Chissachì per farsi dare la tua cartella odontoiatrica perchè non resterà molto della tua faccia e papà e mamma si erano sempre aspettati molto di più da te e, no, la vita è ingiusta e adesso guarda che cosa succede.
Quattordici dollari.
Questa, ho chiesto io, questa è tua mamma?
Si. Tu piangevi, tiravi su con il naso, piangevi, deglutivi. Si.
Avevi una tessera di biblioteca. Avevi una tessera di noleggio a un negozio di video. Una tessera della previdenza sociale. Quattordici dollari in contanti. Volevo prendere la tua tessera dell'autobus, ma il meccanico ha detto di prendere solo la patente. Una tessera scaduta di un'associazione studentesca.
Studiavi qualcosa, all'epoca.
Eri arrivato a un pianto abbastanza intenso a questo punto così io ti ho schiacciato un po'più forte la pistola sulla guancia e tu hai cominciato a indietreggiare finchè ti ho detto di non muoverti, o t'ammazzavo lì per lì. Allora, che cosa studiavi?
Dove?
All'università, ho detto. Qui c'è una tessera.
Oh, non ti ricordavi più, singhiozzo, ingoio, sniffata, qualcosa, biologia.
Ascolta adesso, devi morire, Raymond K.K.K. Hessel, questa notte tocca a te. Puoi morire in un secondo o in un'ora, decidi tu. Perciò cacciami una balla. Raccontami la prima cosa che ti salta in mente. Inventati qualcosa. Non me ne frega un cazzo. Io ho la pistola.
Così finalmente ti sei messo ad ascoltare e sei uscito da quella piccola tragedia che avevi nella testa.
Riempi gli spazi vuoti. Che cosa vuole fare Raymond Hessel da grande?
Andare a casa, hai detto tu, voglio solo andare a casa, ti supplico.
Potente, ho detto io. Ma poi, come avevi intenzione di passare la tua vita? Posto che sapessi fare qualcosa a questo mondo.
Inventatelo.
Tu non sapevi.
Allora sei morto seduta stante, ho detto io. Ora gira la testa, ti ho detto.
La morte avrà inizio fra dieci, fra nove, fra otto.
Veterinaria, hai detto. Volevi diventare veterinario.
Vale a dire bestia. Per questo bisogna andare a scuola.
Nel senso di troppa scuola, hai detto tu.
Puoi essere in qualche scuola a spaccarti il culo, Raymond Hessel, o puoi essere morto. Scegli tu. Ti ho infilato il portafogli nella tasca posteriore dei jeans. Dunque volevi davvero diventare un dottore di bestie. Ti ho staccato la canna in salamoia dalla guancia e te l'ho schiacciata contro quell'altra. E' questo che hai sempre desiderato diventare, dottor Raymond K.K.K.K. Hessel, un veterinario?
Si.
Non è una balla?
No. No, hai specificato, si, non è una balla. Si.
Bene, ho detto io, e ti ho schiacciato l'estremità umida della canna al vertice del mento e poi al vertice del naso e dovunque schiacciavo la canna lasciavo un anello luccicante delle tue lacrime.
Allora torna a scuola, ti ho detto. Se domani mattina ti svegli, trovi un modo di tornare a scuola.
Ho schiacciato l'estremità bagnata della pistola sull'una e sull'altra guancia e poi sul mento e poi di nuovo sulla fronte e l'ho lasciata lì. In questo momento potresti tranquillamente essere morto, ti ho detto.
Ho la tua patente.
So chi sei. So dove abiti. Mi tengo la tua patente e ti tengo d'occhio, signor Raymond K. Hessel. Fra tre mesi e poi fra sei mesi e poi tra un anno e se non sei tornato a scuola per studiare da veterinario, sarai morto.
Tu non hai detto niente.
Vattene da qui e fai la tua piccola vita, ma ricordati che ti sorveglio, Raymond Hessel, e preferisco ammazzarti che vederti fare un lavoro di merda per quei quattro soldi che ti servono per comperarti del formaggio e guardare la tele.
Ora me ne vado e tu non ti voltare.
E' questo che Tyler vuole che faccia.
Queste sono le parole di Tyler, quelle che mi escono di bocca.
Io sono la bocca di Tyler.
Io sono le mani di Tyler.
Tutti nel Progetto Caos sono parti di Tyler Durden e viceversa.
Raymond K.K. Hessel, la cena di questa sera avrà un sapore fantastico come nessun pasto che hai mai mangiato e domani sarà il giorno più bello di tutta la tua vita.

venerdì 27 marzo 2009

Quando




Quando stai per abbracciare una donna.


Quando stai per abbracciarla e la musica è appena cominciata.

Quando le hai sorriso, lei ti ha sorriso, e quindi ti sei avvicinato, l'hai aspettata, lei ti ha raggiunto, e tu hai appena dato le spalle alla pista e sei di fronte a lei, e stai per abbracciarla.


Quando stai per abbracciarla e la musica è appena cominciata e non ballate ormai da molti mesi.


Quando stai per abbracciarla e non ballate ormai da molti mesi e ti rendi conto che sono veramente troppi mesi che non ballate e senti che non c'è mai stata una buona ragione per negarsi un tango per mesi e mesi.


Quando stai per abbracciarla e nei suoi occhi e nel suo sorriso accennato capisci che sono tanti mesi, troppi mesi, anche per lei.


Quando allarghi le braccia per accoglierla e la vedi che è sul punto di avvicinarsi e lasciarsi stringere nell'abbraccio.


Quando lei sta per lasciarsi stringere nell'abbraccio e tu hai le braccia aperte, per accoglierla.


Quando deglutisci, e respiri a fondo, ed è il momento.


Quando tutto si confonde, quando tutto si cancella.


Quando quell'abbraccio rimane sospeso lì, in aria, tra un bancone e una pista, in attesa di qualcuno che ritorni.


In attesa di quella stessa musica, e di qualcuno che lo meriti.

lunedì 23 marzo 2009

Nu mumée.

Poi passò il fruttivendolo con la spesa della signora dell'ultimo piano e gridò come al solito dal cortile di calare il cesto.
"Signora Sanfelice! Calate 'o panaro, signora Sanfeliceee!"
Rivolto a me: "Nun ce sente cchiù, s'adda fa' n'apparecchio p'e rrecchie".
"Acustico," gli dico, tanto per dire una cosa e non farlo parlare da solo.
"Si, n'apparecchio artistico. Signora Sanfeliceee!"
Al terzo strillo la signora sente o qualcuno va a bussare alla sua porta per avvertirla di calare il cesto.
"Nu mumèe." La signora Sanfelice ha la e di momento lunga assai.
Detto da lei il momento parte bene ma non arriva.
Di lei don Gaetano dice che tiene una voce a trombetta che sveglia le anime del purgatorio.
"Acalate 'o panaro."
"Nu mumèe."
"Nto" ce l'aggiungo io, per farlo arrivare.
" 'O panaro" strilla rauco il fruttivendolo.
"Mo', mo' " si sente scendere dalla finestra aperta.
La voce della signora si è persa tutto il mento di momento, per ora cala solo il mo'.
Il fruttivendolo si spazientisce e chiama un'altra volta.
Mentre aspetta dice: "Chella nun trova 'o panaro. Ma pecchè nun 'o tiene vicino 'a fenesta?".
La dirimpettaia della signora Sanfelice le grida di guardare sotto il lavandino.
Risposta a tutta gola trombettiera: "Nun ce staa".
"Guardate dietro la stufa."
"Nun ce staa, me l'ha spustato Cuncettina. Chella mette a posto e 'e ccose spariscono."
"Signora Sanfeliceeee!" ripiglia il fruttivendolo con una voce strozzata con cui la vorrebbe strozzare.
Puntuale: "Nun mumèe".
"Nto" da parte mia.
Alla fine esce il grido liberatorio nel cortile: "L'ha truvato, l'ha truvato".
"Sia fatta 'a vuluntà" commenta una voce e chiude la finestra. Segue la chiusura di altre finestre coinvolte.


tratto da "Il giorno prima della felicità" di Erri De Luca - Feltrinelli 2009

domenica 15 febbraio 2009

11.397 miglia


Estratto conto

Gentile Gabriele, controlla il dettaglio delle miglia che hai accumulato e il riepilogo delle tue attività effettuate a partire dal 1 gennaio 2008: Per una guida all’utilizzo dell’estratto conto consulta l’HELP.

Riepilogo del conto

Miglia accumulate 68.603
Miglia spese 0
Saldo 68.603

Dettaglio delle attività
Di seguito il dettaglio delle ultime attività relative alla tipologia selezionata (massimo 20).

Data
Attività
Miglia
(...)

Il fallimento è stato il mio spauracchio. Mi sono appeso implorante alla cordata di quegli squali affamati e patrioti di Cai.
Quota 80.000 resta il mio miraggio. Da anni e anni (e anni) accumulo miglia, meticoloso come una formichina, con qualsiasi mezzo consentito dalla legge.

Ho volato Alitalia, anche quando Alitalia era (un po'!) meno conveniente delle altre.
Ho testardamente finanziato il distributore Api dietro casa.
Ho rinunciato ad indistruttibili borse in pura plastica, a luccicanti orologi in puro platino placcato ferro, ad indispensabili utensili per il fai da me.
Ho scambiato gli Api-punti su gomma con le Ali-miglia volanti.
Ho preso una carta di credito Alitalia di cui non avrei avuto alcun bisogno.
Ho comperato tutto il comperabile pagando con la mia carta Alitalia.
Ho atteso speranzoso l'estratto conto (!!!) il 13 del mese, mese dopo mese, contando paziente miglia ed euri, euri e miglia.
Ho rumorosamente reclamato i miei Bonus quando Alitalia, in crisi di identità, faceva la gnorri.
Ho sognato, e ancora sogno, il mio biglietto omaggio A/R Palermo - Buenos Aires.



venerdì 13 febbraio 2009

Un tango para tus ojos


Ti metto una mano, la mano destra sulla schiena, l’appoggio e cerco la tua scapola, la trovo e la chiudo a vita nel mio palmo. Hai le spalle nude, e così misuro la tua pelle. Faccio che tutto il mio braccio ti cinga, ti avvolga e ti delimiti, senza, per questa curva, soffocarti. Faccio che ti accompagni senza pedinarti, ti coccoli senza seviziarti. Faccio che nella mia mano si rifugi la tua mano, faccio che le nostre dita si contino a vicenda, si intreccino senza incattivirsi, faccio che i tuoi polpastrelli rimangano rosa e le tue unghia scarlatte, e non imbianchino dalla fatica. Poi faccio che il mio petto conosca il tuo petto, che il mio cuore incontri il tuo cuore. E che si parlino, senza che a noi due sia dato intervenire. Lascio che il mondo si dissolva intorno al risaputo profumo dei tuoi capelli. Lascio che la vita come in una carezza scorra via e che non me ne importi nulla. Lascio che la musica penetri dal mio orecchio e che sinuosa s’introduca nella tua tempia. Lascio che la mente si svuoti e trapassi in una stringa di realtà parallela. Lascio che mi pervada il piacere del tuo piacere. Lascio che a godere siano le tue viscere rimescolate dalla notte insonne e che a comandare sia una luna di sogno.
Lascio che i tuoi occhi restino serrati, e che questo tango sia un tango per i tuoi occhi.

mercoledì 21 gennaio 2009

'nguè


...e fu così che venni al mondo in un piovoso e grigio mattino di gennaio duemilanove.
ero uno dei nuovi propositi del mio papà, che definirmi buono mi pare troppo, che definirmi nuovo mi pare equo.
a lui spesso capitava gli venisse qualcosa da dire o da ridire, pensieri spesso fugaci e prossimi a svanire, così, di tanto in tanto, andava seminando commenti a zonzo per lo web. sempre come utente anonimo che però in calce si firmava.
poi pure capitava che gli scappasse qualcosa da dare o da ridare, qualche abbraccio per esempio, e ne andava lasciando in giro per milonghe. sempre come utente anonimo che però, tra un tango e un altro, il suo nome in tanda lo diceva.
un giorno, cioè proprio oggi, più o meno cinque minuti fà, finalmente si decise e, pluf!, in un battibaleno vidi la rete.
si, la rete fu la prima confusa cosa che mi apparse, datosi che nacqui già vedente, ma soprattutto già scrivente.
magie elettroniche, non chiedetemi, non so.
lui (sempre il mio papà) voleva scrivere di quello che la testa gli diceva, e la testa spesso gli parlava di quelle sue cose tanguere, capite no? tutte quelle chiacchiere da tango un po' noiose che raramente riusciranno interessanti per chiunque vi si imbatta. e non importa che il tango uno ce l'abbia o non ce l'abbia.
"si, tango, ma non solo" precisò lui, scrutando innanzi.
"vedremo..." dubitando pensai io (in gestazione ero già un po' pensante e perfino dubitante).
ora basta, come primo vagito è pure troppo lungo, qui in sala parto mi scrutano ansimanti.
hanno delle facce proprio strane.
'nguè?